Prigioniera di una profonda solitudine e incapace di comunicare con il mondo esterno, fin dall'adolescenza la protagonista sceglie di esprimersi vivendo una sessualità estrema, frenetica, concedendosi a numerosi amanti spesso sconosciuti. L'autrice sembra non temere nulla, desidera con tutte le sue forze rompere la barriera di incomunicabilità che l'imprigiona, usando il sesso, accettando di vivere qualunque esperienza. Dopo un tracollo finanziario sceglie di diventare una prostituta d'alto bordo per un'agenzia i cui clienti sono politici, avvocati, imprenditori. Valérie Tasso (1969, Champagne-Ardenne, Francia) è una scrittrice, sessuologa e ricercatrice che abita attualmente a Barcellona (Spagna). Si è laureata in Economia e Lingue Straniere Applicate e ha ottenuto un Master in Business Administration presso l'Università di Strasburgo. Pubblicato nel 2003 il suo libro "Diario di una ninfomane" ha avuto nel 2008 un adattamento cinematografico con la stessa denominazione, produzione spagnola Filmax e di Canon Films, e ha scatenato una grande agitazione dei media per la censura alla scaletta del film. E’ seguito un libro nel 2004 "Paris la nuit" e nel marzo 2006, "L’altro lato del sesso". Nel 2008 ha pubblicato un quarto libro, "Antimanuale del sesso". I suoi lavori sono stati tradotti in oltre 15 paesi. Collabora regolarmente a programmi televisivi e radiofonici, è nota per la sua carriera come docente e ricercatrice. Il suo attuale compagno è il pensatore e pittore Jorge de los Santos Siviglia. Nel giugno 2009, ha tenuto presso il campus della Aviles Oviedo University la conferenza dal tema "Il discorso normativo del sesso" in un corso estivo sulla sessuologia di quella università. Ora ha una sezione di sessuologia in "The Longest Night" programma di intrattenimento di Canal Sur, in precedenza denominata "Colga2 con Manu».
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GGeorge Orwell
George Orwell nasce da una famiglia di origini scozzesi che appartiene alla borghesia "alto-bassa" (o "nobiltà senza terra", come la definì lo stesso scrittore). Il padre, angloindiano, è funzionario dell'amministrazione britannica in India, dove la famiglia si destreggia a conciliare effettiva scarsità di mezzi e salvaguardia delle apparenze. Orwell si trasferisce in Inghilterra con la madre e le due sorelle nel 1904, a Henley-on-Thames, in Sussex, dove si iscrive al college St. Cyprian di Eastbourne. Ne esce con una borsa di studio e un forte complesso d'inferiorità, dovuto alle umiliazioni e allo snobismo subiti negli anni da parte dei compagni di studio e della società inglese (come narrerà nel suo saggio autobiografico Such, Such were the Joys del 1947). Nel 1917viene ammesso all'Eton College, che frequenta per quattro anni, e dove ha per insegnante Aldous Huxley (altro grande esponente della letteratura distopica), alle cui opere si ispirerà per 1984, il suo romanzo più celebre. In questo stesso periodo stringe amicizia con Cyril Connolly, futuro critico letterario. Nel 1922 lascia gli studi per seguire le orme paterne, e tornato in India, si arruola nella Polizia Imperiale in Birmania (Burma). Il 22 novembredello stesso anno arriva a Mandalay. L'esperienza si rivela traumatica, diviso fra il crescente disgusto per l'arroganza imperialista e la funzione repressiva che il suo ruolo gli impone, e il 1 gennaio 1928 si dimette. Ispirato all'esperienza di questo periodo è il successivo romanzo Giorni in Birmania (del 1934). Nello stesso anno 1928 parte per Parigi, dove spera di osservare con i propri occhi i bassifondi delle grandi metropoli europee. In questo periodo inizia a scrivere e lavora come sguattero in alcuni ristoranti. Sopravvive solo grazie alla carità dell'Esercito della Salvezza e sobbarcandosi lavori umilissimi. Un'esperienza che proseguirà anche in patria ispirando il suo romanzo d'esordio Senza un soldo a Parigi e Londra, pubblicato nel 1933 con lo pseudonimo di George Orwell. Pubblica il suo primo articolo più famoso su Le Monde[1] nel 1928. L'anno successivo si trasferisce a Southwold, nel Suffolk, lavorando da recensore per l'Adelphy e il New Statesman and Nation. Nell'aprile 1932 si trasferisce nel Middlesex, e inizia un lavoro da insegnante come maestro elementare per varie scuole private, che è costretto ad abbandonare per problemi di salute. Nel marzo dell'anno successivo pubblicaLa figlia del reverendo (1933) e accetta poi un lavoro part-time in una libreria e come critico di romanzi per il New English Weekly. Su commissione del Left Book Club, un'associazione culturale filosocialista, svolge un'indagine nelle zone più colpite dalla depressione economica, che lo porterà, nei primi mesi del 1936 tra i minatori dell'Inghilterra settentrionale. Le loro misere condizioni saranno descritte in La strada per Wigan Pier , pubblicato nel 1937. Si reca nel Lancashire e nello Yorkshire e in aprile a Wallington, nello Hertforshire, dove pubblica il romanzo Fiorirà l'aspidistra, ispirato alla sua vita di miserie di quegli anni, dove sono raccontate le vicende di uno scrittore di poco successo e del suo tentativo di ribellarsi ai codici della vita borghese. A Wallington affitta in Kits Lane una casa nella quale una stanza è adibita a negozio, tanto che viene chiamata "The Stores" (i magazzini); nel negozio Eric ed Eileen vendono uova fresche del loro pollaio, bacon, latte delle loro capre e strisce di liquirizia. Il 9 giugno 1936 sposa nella chiesa anglicana di Wallington (nonostante entrambi si dichiarassero agnostici) Eileen O'Shaughnessy, sua compagna da un anno. (Eileen fu allieva di J.R.R. Tolkien.)[senza fonte] A Wallington si trova la "Bury Farm", la fattoria che, secondo molti, Orwell usò per ambientare La fattoria degli animali. Scoppiata la Guerra Civile Spagnola, vi prende parte combattendo per il Partito Operaio di Unificazione Marxista (P.O.U.M. Partito Obrero de Unificacion Marxista d'ispirazione trotzkista), contro il dittatore Francisco Franco ed è inviato sul fronte aragonese. Colpito alla gola da un cecchino franchista, rientra a Barcellona. Il clima politico è cambiato: con il prevalere della linea del Fronte Popolare e del PCE (stalinista)nel governo repubblicano il Poum e gli anarchici sono dichiarati fuorilegge. Lascia la Spagna quasi clandestinamente. OrwellDi ritorno in Inghilterra scrive Un omaggio alla Catalogna (1938), un diario-reportage contro gli stalinisti spagnoli (i quali agivano sotto lo stretto controllo dei "consiglieri" sovietici) accusati di aver tradito lealisti ed anarchici in Spagna. In settembre parte per il Marocco e, l'anno successivo, tornato in patria, scrive Una boccata d'aria (1939). Durante la Seconda guerra mondiale viene respinto dall'esercito come inabile e si arruola, nel 1940, nelle milizie territoriali della Home Guard, con il grado di sergente. In marzo Gollancz gli pubblica la raccolta di saggi Dentro la balena e, trasferitosi a Londra, cura per la BBC (l'ente radiotelevisivo britannico) una serie di trasmissioni propagandistiche rivolte all'India. Pubblica la raccolta di saggi Il leone e l'unicorno: il socialismo e il genio inglese (1941) e, tra il 1942 e il 1943, collabora alle riviste Horizon, New Statesman and Nation e Poetry London. In novembre abbandona la Home Guard e diviene direttore del settimanale di Sinistra "Tribune", che gli affida una rubrica (A modo mio). Inizia a scrivere La fattoria degli animali, che terminerà nel febbraio del 1944, ma che, per le chiare allusioni critiche allo stalinismo, molti editori si rifiuteranno di pubblicare. (In quel periodo la Russia di Stalin era alleata del Regno Unito contro il nazifascismo). Nel giugno 1944 adotta un bambino con il nome di Richard Horatio Blair, e nel febbraio dell'anno seguente si dimette da direttore del "Tribune" e diviene corrispondente di guerra da Francia, Germania eAustria, per conto dell'Observer. Nello stesso anno (1945) muore la moglie Eileen, in seguito ad un intervento chirurgico, e "Secker & Warburg" gli pubblicano il suo primo romanzo di successo: La fattoria degli animali. La tomba di George OrwellDal novembre 1946 all'aprile dell'anno successivo riprende a scrivere per il "Tribune" e nel 1947si stabilisce con il figlio a Jura, una fredda e disagiata isola delle isole Ebridi. È minato dallatubercolosi, il clima non si confà alle sue disperate condizioni di salute, costringendolo a continui ricoveri in sanatorio. Due anni dopo si risposa con Sonia Bronwell, redattrice diHorizon, e si occupa della revisione della sua opera più celebre: 1984 (scritto nel 1948). Muore per il cedimento di un'arteria polmonare il 21 gennaio 1950, in un ospedale di Londra, a 46 anni.[2] Le opere [modifica]Orwell viene ricordato soprattutto per il contributo che diede alla letteratura distopica (il termine contrario alla Utopia), che utilizzò più volte nella lotta contro il totalitarismo. Dal punto di vista letterario egli si inserisce nel grande filone della letteratura satirica inglese, che si può far risalire a Jonathan Swift (con riferimento a I viaggi di Gulliver, ma anche al pamphlet Una modesta proposta). In realtà sono i suoi saggi ed articoli che – più di ogni altro suo scritto – costituiscono il contributo maggiore di questo scrittore alla comprensione del suo (e anche del nostro, attuale) tempo, oltre che un alto esempio di esercizio della ragione e dello spirito critico, tramite uno stile assolutamente superbo. La sua scrittura, pur esprimendo concetti complessi, è chiara ed adotta parole ben comprensibili: Animal Farm (La fattoria degli animali) in particolare è stato più volte usato come lettura nei corsi di lingua inglese per stranieri. Esso è, sotto la parvenza di una favola per bambini, un'acuta parodia del comunismo centralista realizzato in Unione Sovietica. (In una fattoria gli animali si ribellano ad un padrone umano crudele e dispotico solo per piombare in un dominio anche peggiore guidato dai maiali, corrotti dall'avidità di potere e caratterizzato dall'icastico motto: "tutti gli animali sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri.") Dal punto di vista più politico (parafrasando R.A. Heinlein) viene da pensare ad Orwell come un maestro severo, quelli di una volta, poco dediti ai buonismi ed alle frasi del tipo "in fondo quel teppistello è un bravo ragazzo". Orwell è un maestro che tramite le favole (La fattoria degli animali) ammonisce a non credere alle favole, che stimola a mantenere sempre alta la coscienza e lo spirito critico, a dubitare delle rivoluzioni pur ritenendole necessarie, a dubitare del nostro stesso pensiero, perché potrebbe essere condizionato dal linguaggio (la neolingua di 1984) costruito apposta per incarcerare la nostra mente. Ed è severo perché ci punisce subito, mostrando le devastazioni provocate dal sonno della ragione. Romanzi
Saggi [modifica]
Luigi Pirandello
Scritto nel 1903 questo splendido romanzo è oggi di incredibile attualità. Mattia Pascal, vive nell’immaginario paese ligure di Miragno, insieme alla madre e al fratello. Il padre ha lasciato loro in eredità una discreta fortuna consistente in case, terreni e vigneti. La giovane vedova, del tutto incapace di amministrare, affida però l’intero patrimonio a Batta Malagna, che avendo ricevuto in passato dal marito diversi favori ed essendo ricompensato lautamente per i suoi attuali servigi, avrebbe dovuto, secondo lei, amministrare onestamente. Batta Malagna invece, con il trascorrere degli anni, si impossessa di tutti i loro averi e costituisce la causa principale del declino della famiglia Pascal. I due fratelli Mattia e Roberto vivono allegri e liberi da ogni pensiero morale, religioso o scolastico e, una volta cresciuti, non si curano dei beni della famiglia, paghi di vivere senza apparenti problemi e in maniera agiata. Il Malagna ha avuto infatti la capacità di non fargli mancare nulla e di nascondere la voragine di debiti che presto li avrebbe fatti precipitare. Costretto a sposare Romilda, da cui aspetta un bambino, Mattia si trova a convivere anche con la suocera vedova che lo disprezza e lo considera un inetto, un fannullone, un buono a nulla ricco soltanto di debiti. Da questo momento la vita di Mattia diventa un inferno. Ormai senza ricchezze, si trasferisce in una casa umile; la moglie perde la sua originaria bellezza e sembra non amarlo più; le due figlie muoiono una dopo l’altra a causa della loro gracilità. E muore anche l’adorata madre dopo aver sopportato i soprusi della suocera-strega la quale continua per il carattere di Mattia, ma soprattutto per la povertà di Mattia a odiare il genero e a rovinare la già precaria tranquillità della casa. Per la prima volta in vita sua il protagonista si ritrova a cercare lavoro, e grazie all’amico Pomino, ne trova uno come bibliotecario. Ma un giorno Mattia, angustiato dai dissidi coniugali e dai debiti, esasperato dalla noia e dalla inutilità del suo lavoro, decide di fuggire. Arriva a Montecarlo e grazie ad una serie di vincite fortunate si ritrova in tasca la somma di 82.000 lire. E’ quasi ricco! Decide di ritornare a casa per riscattare le sue proprietà e per godere di una rivincita sulla suocera; sogna finalmente una vita serena, un avvenire tranquillo al riparo della miseria. Ma proprio mentre questi pensieri occupano la sua mente, in treno durante il viaggio di ritorno a casa, legge su un giornale che a Miragno, nella roggia di un mulino, è stato ritrovato il cadavere di Mattia Pascal. Legge e rilegge il trafiletto scritto in minutissimi caratteri e lo ripete tra se quasi sillabando, fermandosi ad ogni parola. Egli si sarebbe suicidato nella gora del molino alla Stia, una sua vecchia proprietà, a causa dei dissesti finanziari e dei lutti familiari. Ed era stato prontamente o forse frettolosamente riconosciuto dalla moglie disperata e dalla suocera. Dapprima sconvolto, comprende presto che può crearsi una nuova vita, una vita libera da ogni legame con il passato, senza problemi e senza responsabilità, proprio come quando era giovane. E’ ricco e non essendo più Mattia Pascal non ha più alcun creditore. Così con il nome di Adriano Meis comincia a viaggiare prima in Italia e poi all’estero, fino a che decide di stabilirsi a Roma, in un camera ammobiliata sul Tevere. Si innamora, ricambiato, di Adriana, dolce figlia del padrone di casa Anselmo Paleari. Mattia vorrebbe sposarla e ricominciare tutto da capo. Ma Adriano Meis non esiste, non ha una realtà sociale, non ha nessuno dei diritti che hanno i cittadini iscritti all’anagrafe. Non può acquistare nulla, non può denunciare un furto se derubato e tanto meno può contrarre matrimonio. Non può fare nessuna di quelle cose della vita quotidiana che necessitano di una identità. Capisce l’impossibilità di vivere fuori dalle leggi e dalle convenzioni che gli uomini si sono dati. La sua libertà è solo un’illusione. Scopre che fare il morto non è una bella professione. A Mattia non resta che farla finita anche con la nuova identità simulando il suicidio di Adriano Meis nelle acque del Tevere. Erano passati soltanto due anni dalla sua prima supposta morte. Eppure tante cose erano cambiate. La moglie Romilda era rimasta vedova ben poco. Si era infatti risposata proprio con il suo amico Pomino ed aveva avuto una bambina. Quanto era beffardo il destino… Lui, che aveva pensato di essere rinato e finalmente libero di fare ciò che desiderava, non aveva potuto vivere pienamente la sua nuova vita, ma era evidente che gli altri lo avevano fatto. Gli altri erano andati avanti anche senza di lui. Gli altri, a Miragno, avevano stentato a riconoscerlo e il suo ritorno non aveva, per lo meno inizialmente, causato lo scompiglio che si era immaginato. Mattia, ritornato con propositi di vendetta, ben presto li abbandona e lascia che la moglie e l’amico continuino a vivere il loro menage coniugale. A Mattia non resta che ritornare a fare il bibliotecario nell’umida chiesa sconsacrata e adibita a biblioteca comunale in un paese in cui nessuno legge e di andare di tanto in tanto a far visita alla propria tomba… Mattia Pascal è il testimone esemplare dell’assurda condizione di uomo prigioniero delle “maschere sociali” di marito, di padre, di figlio, di fratello etc. che coprono la nostra vera identità. Esprime la sofferenza di quest’uomo, angosciato dall’impossibilità di sfuggire alle convenzioni e ai vincoli della società che sono una catena, un freno inibitore e che forse sono l’unico modo d’esistere. Fuori della legge e fuori di quelle particolarità, liete e tristi che siano per cui noi siamo noi… non è possibile vivere. Solitudine e sconfitta in una società creata dall’uomo, ma che non è a misura d’uomo. Pirandello in questo romanzo rappresenta tutta la crisi esistenziale e storica dell’uomo moderno. E questa rappresentazione, impregnata del contrasto tra realtà e illusione, consapevole dell’incapacità di essere totalmente artefici del proprio destino e del sopravvento del caso è inscenata con straordinaria semplicità in un misto di gioia e di sofferenza, di umorismo e amarezza, di comico e di tragico. E’ un libro incredibile, una narrazione geniale a cui non si può rinunciare Il" Caos" la csa natale di Pirandello luigi Pirandello Breve BiografiaLa vita di Luigi Pirandello è l' «involontario soggiorno sulla terra» di un «figlio del caos», come egli stesso, scherzando, amava definirsi.
asce infatti Luigi Pirandello il 28 giugno 1867 nella villa detta Caos nei pressi di Girgenti (oggi Agrigento). La famiglia, di tradizione garibaldina e antiborbonica, è proprietaria di alcune zolfare. Dopo gli studi liceali compiuti a Palermo, rientra nel 1886 a Girgenti, dove affianca per breve tempo il padre nella conduzione di una miniera di zolfo e si fidanza con una cugina (rompendo in seguito il fidanzamento). Si iscrive prima all'università di Palermo, poi passa alla Facoltà di Lettere dell'università di Roma, ma a causa di un contrasto con il preside, il latinista Onorato Occioni, si trasferisce all'università di Bonn, dove nel 1891 si laurea in Filologia romanza con una tesi dialettologica. Intanto ha già esordito come poeta con Mal giocondo (1889) e con Pasqua di Gea (1891), raccolta che dedica a Jenny Schulz-Lander, di cui a Bonn si è innamorato. Nel '92, fermamente deciso a dedicarsi alla sua vocazione letteraria, si stabilisce a Roma, dove vive con un assegno mensile del padre. Nell'ambiente letterario della capitale conosce e stringe amicizia con il conterraneo Luigi Capuana, che lo spinge verso il campo della narrativa. Compone così le prime novelle e il suo primo romanzo, uscito nel 1901 con il titolo L'esclusa. Non abbandona tuttavia la poesia: escono nel '95 le Elegie renane, nel 1901 Zampogna, e nel 1912 Fuori di chiave, la sua ultima raccolta poetica. Nel 1894 sposa a Girgenti, con matrimonio combinato tra le famiglie, Maria Antonietta Portulano, figlia di un ricco socio del padre. Si stabilisce definitivamente a Roma, dove nascono i tre figli Stefano (1895), Rosalia (1897) e Fausto (1899). Pirandello vive sempre con disagio il rapporto con la fragile e inquieta moglie, avvertendo il forte peso delle norme comportamentali risalenti alle radici siciliane. Inizia una fitta collaborazione con diversi giornali e riviste letterarie, sulle quali pubblica una ricca e vasta produzione narrativa che trova consensi presso il pubblico, ma indifferenza da parte della critica. Scrive il romanzo Il turno (edito nel 1902) e lavora ai suoi primi testi teatrali che per allora non riescono a raggiungere le scene. In opposizione all'estetismo e al misticismo dominanti fonda con Ugo Fleres e altri amici un settimanale letterario dal titolo shakespeariano «Ariel». Dal 1897 al 1922 insegna, senza entusiasmo ma con grande dignità, stilistica italiana presso l'Istituto Superiore di Magistero di Roma. Nel 1903 l'allargamento di una miniera di zolfo causa alla famiglia Pirandello un grave dissesto economico: il padre Stefano perde insieme al proprio capitale anche la dote della nuora. In seguito alla notizia dell'improvviso disastro finanziario, Antonietta, già sofferente di nervi, cade in una gravissima crisi che durerà per tutta la vita sotto forma di grave paranoia. Vani saranno i tentativi di Pirandello di dimostrare che la realtà non è come invece pare alla moglie. Abbandonata la tentazione del suicidio, Pirandello cerca di fronteggiare la disperata situazione, assistendo Antonietta (che verrà internata in una casa di cura solo nel 1919); e per arrotondare il magro stipendio universitario, impartisce lezioni private e intensifica la sua collaborazione a riviste e a giornali. Nel 1904 Il fu Mattia Pascal , pubblicato a puntate sulla «Nuova Antologia», riscuote un successo tale che uno dei più importanti editori del tempo, Emilio Treves di Milano, decide di occuparsi della pubblicazione delle sue opere. Nel 1908 pubblica due volumi saggistici Arte e scienza e L'Umorismo, grazie ai quali ottiene la nomina a professore universitario di ruolo. Nel 1909 inizia la sua collaborazione, che durerà fino alla morte, al «Corriere della Sera», su cui appaiono via via le sue novelle; e pubblica la prima parte del romanzo I vecchi e i giovani (la seconda esce in volume nel 1913). Nel 1911 esce il romanzo Suo marito. Scrive anche alcuni soggetti cinematografici, mai realizzati; mentre nel 1915 pubblicherà il romanzo Si gira... Nel 1915-'16 inizia la sua prodigiosa e intensa attività teatrale, che darà vita a dibattiti e discussioni in Italia e all'estero. Proprio negli anni della grande guerra, (vissuti drammaticamente anche per la perdita della madre e per la partenza dei figli per il fronte), scrive alcune celebri opere: Pensaci Giacomino!, Liolà (1916), Così è (se vi pare), Il berretto a sonagli, Il piacere dell'onestà (1917), Ma non è una cosa seria e Il gioco delle parti (1918). Nel 1918 esce il primo volume delle Maschere nude, titolo sotto cui raccoglie i suoi molteplici testi teatrali. Nel 1920 il teatro pirandelliano con Tutto per bene e Come prima, meglio di prima, si afferma pienamente, e a partire dall'anno successivo raggiunge il grande successo internazionale con il capolavoro Sei personaggi in cerca d'autore. Abbandonata la vita sedentaria degli anni precedenti, Pirandello vive e scrive negli alberghi dei più importanti centri teatrali sia europei che americani, curando personalmente l'allestimento e la regia delle sue opere. In questi stessi anni il cinema trae diversi film dai suoi testi teatrali e narrativi, di cui continuano a uscire ristampe e nuove edizioni. Nel 1922 esce il primo volume della raccolta Novelle per un anno presso l'editore Bemporad. La sua produzione teatrale prosegue con Enrico IV e Vestire gli ignudi (1922), L'uomo dal fiore in bocca (1923), Ciascuno a suo modo (1924), Questa sera si recita a soggetto (1930). Nel 1924 si iscrive formalmente al partito fascista, da cui ottiene appoggi e finanziamenti per la compagnia del Teatro d'Arte di Roma che, sotto la direzione dello stesso Pirandello, porta per tre anni (fino al 1928) il teatro pirandelliano in giro per il mondo. L'interprete per eccellenza delle sue scene è la "prima attrice" Marta Abba, a cui Pirandello si lega anche sentimentalmente. Nel 1926 esce in volume il romanzo Uno, nessuno e centomila, ultimo romanzo, frutto di una lunga gestazione, (Bemporad, Firenze), intessuto di interrogativi che il protagonista rivolge direttamente al lettore, per coinvolgerlo in una vicenda "universale", un riepilogo di tutta l’attività, narrativa e teatrale dell'autore. Il dramma La nuova colonia (1928) inaugura l'ultima stagione pirandelliana, quella fondata sui «miti» moderni, che culmina nell'opera incompiuta I giganti della montagna. Nel 1929 è nominato membro dell'Accademia d'Italia, dove nel '31 commemora Verga. Nel 1934 riceve il premio Nobel per la letteratura. Si ammala di polmonite, mentre segue le riprese a Cinecittà di un film tratto da Il fu Mattia Pascal. Muore nella sua casa romana il 10 dicembre 1936. Esce postuma l'edizione definitiva delle Novelle per un anno. L'inquietudine e una solitudine a tratti disperata, che sono la costante della sua esistenza, insospettabili in un uomo di tale successo, vengono analizzate nell'articolo Il segreto di un Nobel italiano, che prende in esame le pagine di alcuni biografi: fra tutti, Andrea Camilleri, che bene la descrisse nel suo libro Biografia del figlio cambiato. Eduardo Scarpetta Volume 2 Tre pecore viziose L’amico ’e papà ‘No pasticcio Il romanzo d’un farmacista povero Nun la trovo a mmaretà La nutriccia ‘Nu frongillo cecato Amore e polenta: ’na paglia ’e Firenze ‘Nu brutto difetto ‘Na matassa mbrugliata ‘Na società ’e marite
Eduardo Scarpetta (Napoli, 13 marzo 1853 – Napoli, 29 novembre 1925) è stato un attore e drammaturgo italiano.
Fu uno dei più importanti attori e autori del teatro napoletano tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento. Specializzato nel tradurre nel dialetto napoletano moltissime pochade francesi, la sua commedia più celebre, Miseria e nobiltà è paradossalmente anche l'unica originale del suo repertorio. Vanta una carriera lunghissima di commediografo (dal 1875) interrotta bruscamente da una celebre causa intentatagli da Gabriele d'Annunzio nel 1904. Padre di un numero altissimo di figli (riconosciuti e non) oltre a Vincenzo, Domenico, Maria Scarpetta, vi sono i celebri Eduardo, Peppino e Titina De Filippo, il poeta Ernesto Murolo, Eduardo (De Filippo) in arte Passarelli e suo fratello Pasquale De Filippo. Figlio di un funzionario statale, Domenico Scarpetta (che tentò più volte di avviarlo agli studi e alla sua carriera) e di Emilia Rendina, nel 1868, all'età di quindici anni decise di entrare in qualche compagnia teatrale: in primo luogo per seguire la sua ambizione, ma anche per poter aiutare la famiglia trovatasi in gravi condizioni economiche per il cattivo stato di salute del padre. Riuscì così a farsi presentare dall'attore Andrea Natale all'impresario Salvatore Mormone, il quale lo scrittura come generico nella compagnia di Antonio Petito di cui divenne capocomico nel 1879. Dal 1870 cominciò il suo successo personale con l'interpretazione di Felice Sciosciammocca nella farsa di Enrico Parisi "Feliciello mariuolo de na pizza", che spinse l'impresario del Teatro San Carlino, Giuseppe Maria Luzi, ad ingaggiarlo per la sua Compagnia Comica Nazionale. Nello stesso anno (il 1872), lo stesso Petito scrisse per lui la farsa "Felice, Guaglione 'e 'nanno" che porterà in scena insieme ad alcuni copioni che lui stesso, ormai esperto, aveva approntato. Dopo la morte di Petito, sostituito da De Martino, lascia il San Carlino. Ambizioso, arrivista, mira ad emergere ad ogni costo, preferendo patire la fame piuttosto che sottostare a Davide Petito, nuovo capo della compagnia. Dopo un brevissimo periodo trascorso a Roma, nella compagnia di Raffaele Vitale (uno dei più celebri Pulcinella dell'epoca) prende in affitto con alcuni comici del San Carlino un baraccone sul Molo, il Metastasio, dove rappresenta alcuni suoi lavori. Nel 1878 accetta di far ritorno al San Carlino, sapendo che al suo fianco avrebbe recitato in sottordine il pulcinella Cesare Teodoro; qui ottiene un grande successo con la commedia "Don Felice maestro di calligrafia" meglio conosciuta come "O' Curaggio 'e nu pumpiere napulitano". L'anno successivo viene scritturato per una tournée a livello nazionale. Nel 1880 ottenne un prestito di 5.000 lire dall'avvocato Severo e, grazie alla sua tenacia, riesce a riaprire e rinnovare il vecchio e glorioso teatro San Carlino, dove debutta il 1 settembre con la commedia "Presentazione di una Compagnia Comica". Egli stesso, nelle sue "Memorie" racconta che «Il pubblico sorpreso ed ammirato dall'affiatamento della compagnia, dalla naturalezza della recitazione, dalla inappuntabile proprietà del vestiario, rise ed applaudì fragorosamente». Iniziò così una stagione di grandi successi, che lo portano ben presto a diventare un idolo. Diventato ormai un capocomico di successo, nato da una famiglia modesta, possiede ora un palazzo in Via Dei Mille, costruito dallo stesso architetto del Teatro Bellini, Vincenzo Salvietti, carrozze e cavalli. Sposato dal 1876 con Rosa De Filippo (la quale, da giovane, era stata amata dal re Vittorio Emanuele II e si mostra spesso con diademi e brillanti degni di una regina) aveva poi intrecciato una relazione con la nipote di costei, Luisa De Filippo. Il 15 maggio 1889 ottenne un memorabile successo con "'Na Santarella" al Teatro Sannazzaro di via Chiaia. Tutta Napoli, elegante e mondana, accorre al piccolo teatro, e con gli incassi della commedia, che gli apre definitivamente le porte della capitale, si fece costruire una villa sulla collina del Vomero, chiamata appunto "Villa Santarella", dove sulla facciata principale campeggiava la scritta «Qui rido io!» che qualche anno dopo vendette perché la moglie aveva paura di abitarci da sola quando il marito era in tournee.Il suo successo più grande, "Miseria e nobiltà", che in seguito ebbe due trasposizioni cinematografiche (memorabile fu quella del 1954 con Totò) fu scritto unicamente per permettere la partecipazione alla commedia del figlio dodicenne Vincenzo, che nella prima rappresentazione recitò nel ruolo di Peppiniello. La fondazione del Teatro Salone Margherita, il primo grande varietà napoletano, costruito nei sotterranei della nuova Galleria Umberto I, cominciò a minare le fortune del commediografo, che in risposta alla nuova moda si ripresentò al pubblico con un suo Cafè-chantant, ma il colpo di grazia gli arrivò nel 1904, quando fu protagonista suo malgrado di una delle più clamorose vicende teatrali dell'epoca: quella riguardante la parodia della "Figlia di Iorio" di Gabriele d'Annunzio, che gli procurò un cocente insuccesso. D'Annunzio stesso lo trascinò in tribunale per una memorabile causa durata tre anni (dal 1906 al 1908) che comunque vinse, e tante amarezze. Moltissime sono le critiche di questi anni, soprattutto da parte di Salvatore Di Giacomo e Roberto Bracco. Unica voce in sua difesa fu quella di Benedetto Croce. Nel 1909, deluso ed amareggiato, si ritirò dalle scene, dopo aver preso parte alla parodia "La Regina del Mare", composta dal figlio Vincenzo, al quale egli impone di essere suo continuatore nel ruolo di Sciosciammocca. Nel 1920 scrisse un saggio sui caratteri innovatori dell'arte di Raffaele Viviani. Morì all'età di 72 anni, e i suoi funerali furono molto imponenti: venne imbalsamato e deposto in una bara di cristallo fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Le sue commedie vennero riprese molte volte e sono ancora oggi spesso in cartellone. Oltre al figlio Vincenzo, anche altri celebri attori napoletani come i fratelli Aldo e Carlo Giuffré recitarono le sue commedie brillanti. Sul grande schermo vennero ricavati quattro film dalle sue commedie, oltre a due versioni del suo capolavoro. La copertina del mitico n.1 Sotto trovate il file da scaricare e scompattare con un programma tipo win rar (se non lo avete lo potete scaricare dalla pagina Midi karaoke dawnload)una volta scompattato lo potrete visionare o stampare:
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Titolo: Topolino Tipologia: (Albo mensile) Pagine: 100 Anno: Aprile 1949 Nazionalità: ITA Dimensione del file: 27.5Mb Dati scan: 200dpi a 24bit Formato del file (se archivio formato dell'archivio e dei file contenuti): CBR :::->Sommario<-:::
Topolino giornale Nel 1932 viene assegnato a Disney uno speciale Oscar per la creazione del personaggio di Topolino. La notizia ha ampio risalto sui principali giornali di tutto il mondo e, come ovvio, anche l'Italia dà il giusto peso alla notizia. Il grande can can spinge allora Giuseppe Nerbini, edicolante ed editore fiorentino, a dedicare un intero giornale illustrato al nuovo eroe dei ragazzi. Così, nel Natale del 1932 fa il suo ingresso nelle edicole italiane una nuova pubblicazione, dal titolo Topolino, anticipando di appena un mese la prima pubblicazione americana, il Mickey Mouse Magazine edito da Herman Kamen nel formato digest che più tardi avrebbe fatto il successo, in Italia, di una nuova iniziativa editoriale dedicata all'eroe Disney. La rivista di Kamen, però, veniva distribuita solo nei grandi magazzini o nelle sale che proiettavano i film: per la diffusione nelle edicole bisognerà infatti attendere il 1935. Ma torniamo in Italia. Sulla falsariga del celebre Corriere dei Piccoli, anche Topolino si presenta ai lettori con periodicità settimanale e si apre con una breve storia in cui le didascalie sono scritte in rima e realizzata da Giove Toppi: in un certo senso è qui che inizia la grande scuola italiana Disney. Sul settimanale della Nerbini, comunque, trovano spazio soprattutto le strisce e le tavole realizzate da Floyd Gottfredson, mentre il primo episodio in assoluto del Topolino dei fumetti, realizzato dai suoi creatori con la collaborazione di Win Smith e apparso in originale il 13 gennaio del 1930, verrà proposto da Nerbini solo nel 1934, sul Supplemento al giornale, con il titolo di Le audaci imprese di Topolino nell'isola misteriosa. L'edizione italiana ha, però, una particolarità rispetto all'originale: si avvale infatti dell'opera di Giorgio Scudellari, illustratore di origine cilena, che corregge alcuni errori ed incongruenze presenti nella storia. Purtroppo Nerbini non si era assicurato correttamente i diritti di pubblicazione: quando aveva varato la sua rivista, infatti, si era rivolto al Consorzio Cinematografico E.I.A., il distributore dei cortometraggi di Topolino, quando in realtà i diritti per le riviste erano stati dati in mano al giornalista Guglielmo Emanuel dallo stesso Disney. Per cui, per un paio di numeri, la testata passò da Topolino a Topo Lino, per poi riprendere la nota testata con il n. 5. Gli Albi di Topolino a storica testata che presentava in un unico numero delle lunghe saghe avventurose, gli Albi di Topolino, venne varata proprio da Nerbini. Il primo formato della rivista è quello orizzontale, che consentiva di presentare le strisce in maniera fedele all'edizione originale, senza dover rimontare le vignette. La collana fa il suo esordio con Topolino contro Wolp, oggi considerato una sorta di Gronchi rosa, di cui pare ci siano in giro appena tre esemplari in tutto. Questa rivista, comunque, fece storia e non solo Mondadori, ma anche altri editori amatoriali, su tutti la Comic Art, spesso riproponendo le storie classiche di Topolino, scelsero proprio questo formato orizzontale. L'era Mondadori Il numero 137 del Topolino giornale, dell'11 agosto 1935, segna il passaggio di consegne da Nerbini alla Mondadori. L'editore milanese non cambia la linea editoriale di Nerbini e anzi, battendo la strada già tracciata, rinforza le edizioni dedicate a Topolino e al resto della banda Disney. Prima fra tutte è la collana Nel regno di Topolino, il primo comic book al mondo dedicato al personaggio di Disney, nato ancor prima dei veri e propri comic books all'americana. Presentava le storie quotidiane e settimanali in un unico albo e rimontate nel tipico formato di albi come Four Color o Walt Disney's Comics and Stories, con una copertina di fattura italiana, per la precisione opera di Antonio Rubino. Sempre Rubino era l'artefice della grafica di un'altra collana Mondadori, che esordiva il 28 marzo del 1935, appena cinque mesi prima del passaggio di consegne: I tre porcellini, ispirata all'omonimo corto animato del 27 maggio 1933, e che servì all'editore come trampolino di lancio per avvicinarsi ai diritti del personaggio principale della scuderia Disney. In quegli stessi anni, però, le iniziative con Topolino protagonista erano molte: soprattutto gli editori Frassinelli di Torino e Salani di Firenze dedicarono alcuni volumi al famoso personaggio dalle orecchie tonde: in particolare quest'ultimo vara la versione italiana, in cinque volumi, della raccolta Big Little Books. Ogni volume, di circa 300 pagine, raccoglie dei racconti che alternano alle pagine di solo testo delle pagine di sole illustrazioni tratte dai fumetti. La crisi sotto la guerra [modifica] Il rapporto tra Walt Disney e Arnoldo Mondadori è molto stretto (durerà oltre trent'anni), improntato sulla fiducia e il rispetto reciproco, e soprattutto è molto proficuo per entrambi. Con l'avvento del fascismo, però, iniziano i primi problemi. Dal 1938, infatti, il Min. Cul. Pop. (Ministero della Cultura Popolare) impone alla stampa una serie di dure restrizioni, prima fra tutte quella di non editare più i protagonisti del fumetto popolare americano. Il solo Topolino è risparmiato, e così il suo logo e il suo personaggio possono continuare ad esistere nelle edicole italiane, ma in piena seconda guerra mondiale, a partire dal n. 478 del 10 febbraio 1942, anche il settimanale è costretto a cedere alle restrizioni. L'ultima storia di Topolino pubblicata fu Topolino e l'illusionista, la cui ultima puntata (con molte vignette tagliate) venne pubblicata nel n. 477. Lo sostituisce Tuffolino, un ragazzetto dalle medesime caratteristiche fisiche, disegnato dal grande illustratore Pier Lorenzo De Vita. La crisi, e la momentanea sostituzione, però, non evita la sospensione della testata, che avviene con il n. 564 del 21 dicembre 1943, per poi riprendere a guerra conclusa il 15 dicembre 1945. Topolino librettoLa fortuna della testata, che ha sfondato i 2800 numeri, non è da ascriversi al formato giornale, che ha il merito di averlo fatto conoscere e diffondere in Italia i personaggi Disney, ma al formato libretto, più maneggevole del primo e, all'inizio, accolto con scarso entusiasmo. Alla fine degli anni quaranta, infatti, i giornali a fumetti che pubblicavano storie a puntate di non più di due tavole ad episodio erano irrimediabilmente in crisi, e così lo stesso Topolino, le cui vendite erano di gran lunga calate rispetto al periodo d'oro. Mondadori, però, non poteva rinunciare alla rivista da edicola per non perdere i ricchi diritti delle pubblicazioni da libreria, così decise un doloroso ma necessario cambio di formato e periodicità. A quel tempo, infatti, l'editore dava alle stampe la Selezione dal Reader's Digest (ottobre 1948), e utilizzava appositamente una nuovissima e costosissima macchina, che restava inutilizzata nei lunghi periodi di attesa tra un numero e l'altro. Inevitabile, quindi, l'idea di utilizzare la macchina anche per produrre il nuovo Topolino, che ne ricalcherà, così, il formato (12,5 × 18 centimetri) e tutti i successivi cambiamenti (aumenti di pochi centimetri nelle dimensioni, il passaggio dalla spillatura alla brossura, cambi nel tipo di carta impiegata)[1] L'aprile 1949 è così un nuovo, importante punto di inizio: ampiamente pubblicizzato sugli ultimi due numeri del giornale, il 737 e il 738, tornava nelle edicole, con un nuovo numero 1, Topolino, questa volta un mensile di 100 pagine di storie esclusivamente disneyane, al prezzo di 60 lire, anziché le 15 del precedente settimanale. La formula, però, quando venne annunciata, fece storcere il naso ai vecchi appassionati, e anche all'allora direttore, Mario Gentilini, che però realizzò un bellissimo numero primo. Il sommario d'esordio del libretto, infatti, conteneva l'ultima puntata di Topolino e il cobra bianco, di Guido Martina e Angelo Bioletto; quindi Eta Beta l'uomo del 2000, la storia di esordio di Eta Beta, scritta da Bill Walsh per i disegni di Floyd Gottfredson; quindi ben tre storie di Carl Barks: Paperino milionario al verde, con il cugino Bambo (uno dei primi nomi italiani di Gladstone Gander prima del definitivo Gastone), Pluto salva la nave, realizzata con Nick George e Jack Hannah, e la fondamentale Paperino e il segreto del vecchio castello, ovvero la seconda apparizione barksiana di Paperon de Paperoni, che risulta ancora vagamente tratteggiato. Il sommario viene poi completato da Le storie dello zio Remo - Coniglietto e l'arcobaleno d'oro, di George Stallings e Dick Moores, con protagonisti i personaggi animati del film I racconti dello zio Tom; Buci e le pulizie di primavera, di Don Gunn, con protagonista la coccinella Buci (Bucky Bug); Il piccolo Lupo Mannaro e Capuccetto Rosso, di Carl Buettner, dove il protagonista (ovvero il piccolo Lupo Mannaro) altri non è che Lupetto, il figlio di Ezechiele Lupo, l'avversario dei Tre porcellini nell'omonimo cartoon; tutta una serie di rubriche, scritte principalmente da Guido Martina, a quel tempo, in pratica, unico sceneggiatore Disney a lavorare per Mondadori. Infine la copertina: l'immagine di apertura era un Topolino in alta uniforme tratto dal Walt Disney's Comics and Stories del giugno 1941, presumibilmente in cima alla parata dei personaggi Disney al gran completo, con Minni in quarta di copertina, tratta, questa volta, da Four Color Comics e opera di Ken Hultgren; in alto a sinistra, poi, sotto l'indicazione del mese e dell'anno, c'era la dicitura Vol. I. All'inizio della sua avventura, infatti, il libretto era pensato come una raccolta di sei numeri, chiamati fascicoli, e con numerazione delle pagine continua da un numero ad un altro, realizzando, così, alla fine di un semestre, una sorta di volume disneyano. Questa rivista ha avuto tre varie periodicità, il n.1 quando è nato nell'aprile 1949 era mensile e durò fino al n.39 (Marzo 1952), poi diventò quindicinale dal n.40 (10 aprile 1952) fino al n.235 (25 maggio 1960), per finire diventare settimanale dal n.236 (5 giugno 1960), fino ai giorni nostri, con uscita il mercoledì. La veste, è sempre quella, tranne una piccola variazione introdotta con il n.605 del 2 luglio 1967, quando fu proposta per la prima volta la banda gialla sul fianco, l'indicazione della testata, dell'autore, dell'editore e del numero. I numeri tondi che fanno storia sono il n.100 che è uscito il 10 ottobre 1954, il n.500 del 26 giugno 1965, il n.1000 del 26 gennaio 1975, il n.1500 del 26 agosto 1984, il n.2000 del 27 marzo 1994, il n.2500 del 26 ottobre 2003. In futuro, ipotizzando che il giorno di uscita sia sempre il mercoledì, usciranno il 3000, il 26 maggio 2013, il n.3500, il 25 dicembre 2023, il n.4000, il 25 luglio 2033. Una bella curiosità, fu che in tre numeri di seguito ci furono tre prezzi diversi, il n.1411 al costo di £.700, il n.1412 £.1500, il n.1413 £.800. Con Topolino n. 1702 del 1988 la Disney subentra direttamente alla Mondadori con la sua divisione locale Disney Italia. Mantenendo lo stesso staff, allora diretto da Gaudenzio Capelli, prosegue, così, la tradizione italiana rinforzando un già folto parco testate. Storie italiane Il Topolino libretto si caratterizza, come già dal suo esordio, per presentare un sommario ricco di storie d'oltreoceano di maestri come Gottfredson e Barks, ma anche per la realizzazione di storie completamente concepite e realizzate in Italia. Prima di queste, però, iniziano le copertine italiane, con Ambrogio Vergani, Michele Rubino e lo stesso Mario Gentilini, direttore della testata. Subito dopo iniziano le storie italiane, con una delle Grandi Parodie Disney: sul n. 7, infatti, per i testi di Martina e i disegni di Bioletto, inizia L'Inferno di Topolino, in cui viene fatto interpretare ai personaggi Disney l'Inferno dantesco. Martina e Bioletto, comunque, sono solo gli apripista di una scuola che vedrà nelle sue fila artisti del calibro di Ennio Missaglia, Abramo Barosso, Luciano Bottaro, Romano Scarpa, e molti altri, e che porterà l'Italia a produrre il 75% delle storie Disney del mondo. Nella lunga storia editoriale della testata si potranno trovare diversi modelli stilistici. Da quello di Martina, seguito da Missaglia, Barosso, Dalmasso, caratterizzato da dialoghi crudi, atmosfere da noir, a quello di Chendi, che pur riprendendo in parte lo spietato Paperone martiniano e il suo sfaticato Paperino, inizia a fare un'opera più di approfondimento, molto simile a quanto stava facendo già da alcuni anni Barks, inserendo, più spesso di Martina, delle situazioni comiche e leggere nelle sue storie. Oggi si assiste più spesso ad una svolta tendente al comico, ma le radici di quelle epiche avventure sono spesso riprese da artisti come Rudy Salvagnini, Giorgio Pezzin, Carlo Panaro, Fabio Michelini (uno dei pochi a fondere perfettamente la scuola italiana di Martina, con gli elementi classici delle storie di Barks), cui si aggiunge l'esperto Rodolfo Cimino, che ha interpretato in maniera originale e personale le grandi epopee avventurose barksiane. Graficamente i grandi maestri sono stati Giovan Battista Carpi, che ha influenzato una gran mole di giovani artisti, Luciano Bottaro, che ha fuso nel suo personalissimo stile gli insegnamenti di Gottfredson, Barks e Bioletto, Romano Scarpa, che grazie anche al suo doppio ruolo di scrittore e disegnatore ha dato un po' di respiro allo stressatissimo Martina, per arrivare ai più giovani Giorgio Cavazzano, che ha anche avuto l'onore di disegnare la copertina del n. 2000, e Massimo De Vita, figlio di Pierlorenzo che, alcuni decenni prima, aveva disegnato il Tuffolino del periodo bellico: tutti insieme questi artisti hanno creato una scuola che ha influenzato giovani leve come Tito Faraci, Claudio Sciarrone, Alessandro e Lorenzo Pastrovicchio, Giorgio Di Vita, Giampiero Ubezio, Alessandro Barbucci, Fabio Celoni, Carlo Gentina, Gianfranco Cordara, Alberto Savini, Casty, Silvia Ziche, che oggi lavorano fianco a fianco di alcuni di questi maestri e contribuiscono a realizzare uno dei più longevi settimanali italiani. L'era Disney Italia e le altre pubblicazioni storiche Con Topolino n. 1702 del 1988 la Disney subentra direttamente alla Mondadori con la sua divisione locale Disney Italia. Mantenendo lo stesso staff, allora diretto da Gaudenzio Capelli, con la collaborazione preziosa di Elisa Penna e Massimo Marconi, prosegue, così, la tradizione italiana rinforzando un già folto parco testate. L'Italia, infatti, ha sempre presentato un gran numero di pubblicazioni dedicate al mondo Disney. Si va dalla Collana Carosello (1957) a Gli albi tascabili di Topolino (1948) o a collane da collezionisti come Le grandi storie (1966) ed Il Topolino d'oro (1970), realizzate da editori specializzati come ANAF, Comic Art, Traverso, IF Edizioni. Non si possono non dimenticare, poi, Nel Regno di Topolino (1935), o gli illustri Albi d'Oro, che più tardi diverranno gli Almanacco Topolino, e i simili Albi della Rosa (che più tardi diverranno Gli Albi di Topolino) e che hanno fatto da base per le successive riviste non-Disney Albi del Falco, con le storie di Superman, Batman, Hawkman (il Falco del titolo) e degli altri supereroi DC Comics, e Albi di Pecos Bill. Non dimentichiamo, infine, la serie dei Classici di Walt Disney, con le ristampe delle storie classiche, generalmente in origine albi monotematici con tavole di raccordo tra una storia e l'altra, e la gemella Grandi Classici Disney. L'"inciucio" compie dieci anni. Il primo a parlarne fu Massimo D'Alema, nel 1995. Poi, in sei anni di governo, il centrosinistra evitò di risolvere il conflitto d'interessi e di liberalizzare il mercato televisivo. Risultato: informazione modello Tg1 e niente satira politica. Dopo "Regime", questo libro racconta le acrobazie parlamentari dei nemici-amici del Cavaliere e le spartizioni "bipartisan" delle Authority e della Rai. Poi le nuove censure contro Biagi, Santoro, Luttazzi, Freccero, Sabina e Corrado Guzzanti, Grillo, Paolo Rossi, Massimo Fini, Beha e altri; gli attacchi a Report, Fo, Hendel, XII Round, fino a Celentano & C. Senza dimenticare i giornali: la guerra a Furio Colombo e gli assalti estivi dei "furbetti del quartierino
:::->Biografia<-::: Nato nel 1867 presso Agrigento, Luigi Pirandello fu autore di più di duecento novelle, di quattro raccolte di poesie, di sette romanzi e di due saggi, ha segnato soprattutto la storia del teatro. Conseguita la licenza liceale si iscrive contemporaneamente sia alla Facoltà di Legge che a quella di Lettere dell'Università di Palermo. Nel 1887 si trasferisce alla Facoltà di Lettere dell'Università di Roma, ma, in seguito ad un diverbio con il rettore è costretto ad allontanarsi e ad iscriversi all'Università di Bonn. Nel 1892 si stabilisce a Roma dove trascorse poi gran parte della sua vita, collaborando a vari giornali e riviste, e insegnando per oltre vent’anni letteratura italiana presso l’Istituto Superiore di Magistero Femminile (dal 1897 al 1922). La prima delle sue numerose raccolte di novelle "Amori senza amor" è pubblicata nel 1894, nello stesso anno sposa Antonietta Portulano, dalla quale ha tre figli, non ha preoccupazioni economiche per le rendite delle miniere di zolfo di famiglia e pertanto può dedicarsi alla scrittura. Dopo alcune raccolte di poesie, pubblica così le prime novelle e i primi romanzi. Nel 1903 una frana sommerge la zolfara in cui erano investiti tutti i beni della famiglia Pirandello, ne determina il tracollo finanziari e lo costringe a mettersi in concorrenza anche sul mercato editoriale vendendo le sue novelle e romanzi. Da quel momento Pirandello si dedica con assiduità al lavoro di scrittore, mentre la moglie Antonietta rimane gravemente sconvolta da una crisi mentale sfociata in una forma morbosa e violenta di gelosia nei confronti del marito, tanto da dover restare in un ospedale psichiatrico fino alla morte avvenuta nel 1959. La pazzia della moglie segna profondamente la vita dello scrittore e costituì per lui una vera e propria tragedia familiare. Una prima tappa importante è la pubblicazione nel 1904 del romanzo “Il fu Mattia Pascal”, che accompagnato da numerose polemiche, ottiene un grandissimo successo in Italia e all’estero. I suoi primi due drammi, "La morsa" e "Lumìe di Sicilia", sono rappresentati nel 1910, quando ha già alle spalle una carriera letteraria di circa venti anni. Ad esso seguono “I vecchi e giovani” (1913), dedicato al dramma del Sud dopo l’unità d’ltalia; quindi “Si gira” (1915), opera in seguito rimaneggiata e ripubblicata con il titolo “Quaderni di Serafino Gubbio operatore” (1925), "La ragione degli altri" Le opere si susseguono regolarmente, guadagnano un successo sempre più crescente: "Sei personaggi in cerca d’autore", dopo il suo fallimento a Roma, trionfa a Milano nel 1921. Dopo un primo viaggio, nel 1923, a Parigi ed a New York, nel 1925 fonda a Roma il "Teatro d’arte", dando vita per alcuni anni ad una propria compagnia drammatica, presenta "Sagra del signore della nave" in Germania, in Gran Bretagna ed in Francia. "Diana e la Tuda" è data a Zurigo nel 1926. Molte pièce importanti, negli anni successivi, saranno così date all’estero prima di essere rappresentate in Italia: "Lazzaro a Huddersfield" (1929), "Questa sera si recita a soggetto" a Königsberg (1930), "Quando si è qualcuno "a Buenos Aires (1933), "La favola del figlio cambiato" in Germania (1934), "Non si sa come" a Praga (1934). Molte opere di Pirandello, lui vivo, sono state adattate per il cinema: "Ma non è una cosa seria" (1920), "Il fu Mattia Pascal "(1925), "Enrico IV" (1926); dalla novella "In silenzio" è tratto l’adattamento cinematografico della prima pellicola sonora prodotta in Italia. La MGM porta sullo schermo "Come tu mi vuoi "nel 1930, con Greta Garbo. Nel 1934 gli fu conferito Premio Nobel per la letteratura. Mentre si gira a Roma un adattamento di "Pensaci Giacomino!", e mentre il drammaturgo è intento a scrivere i dialoghi di un nuovo adattamento cinematografico del "Fu Mattia Pascal," colpito da una polmonite, muore il 10 dicembre 1936. Trama Angelo Baldovino, uomo di poco conto, dalla moralità accomodante, un fallito, accetta per denaro di sposare Agata, l'amante incinta del marchese Fabio Colli che non può sposarla perché già ammogliato. Naturalmente si tratterà di un matrimonio di facciata: ognuno continuerà tranquillamente a farsi i fatti propri. Ma le cose non vanno come previsto. Angelo che per la prima volta si sente investito da una grave responsabilità prende tutto molto sul serio. Aiuterà la ragazza lasciata sola, darà il suo nome al nascituro e sarà utile anche allo stesso marchese Fabio, vittima di una moglie che lo tradisce.
Nella letteratura giapponese, gli Haiku rappresentano una parte molto importante e caratteristica dell'essenza più profonda della cultura nipponica. La condizione alla base di questo tipo di poesia è la convinzione dell'inadeguatezza del linguaggio, rispetto al compito di testimoniare la verità. C'è molta cultura Zen alla base della poesia Haiku, il cui intento è quello di far tornare il linguaggio alla sua essenza pura, ovvero alla sua nudità Nessuna manifestazione del reale, neppure la più semplice, è indegna di essere trattata dai Maestri di Haiku: in ogni cosa è l'energia vitale a svelarsi alla mente, se questa è scevra da schemi e pregiudizi, dalle proprie abitudini e dai limiti del razionale. E poiché l'energia vitale è movimento, anche l'Haiku, seppure nella sua semplicità, dovrà permettere a questo movimento di esprimersi, attraverso le sillabe, e di esprimere a sua volta la comunione, l'esigenza dell'uomo di essere tuttuno con la natura. Anche se veicolo di questa comunione, l'Haiku, però, non diventa mai semplice descrizione realistica, ma và sempre interpretato come testimonianza di una visione che va appunto oltre gli schemi di cui sopra. Esistono almeno due modi di scrivere Haiku che danno vita a due stili diversi. Il primo stile è caratterizzato dal fatto che uno dei tre versi (normalmente il primo) introduce un argomento che viene ampliato e concluso negli altri due versi. Il secondo stile produce Haiku che trattano due argomenti diversi messi fra loro in opposizione o in armonia. Questo secondo stile può attuarsi con due modalità: il primo verso introduce un argomento, il secondo verso lo amplia e lo approfondisce, il terzo verso produce un'opposizione di contenuto, un capovolgimento semantico che in qualche modo ha però relazione con il primo argomento. Questo sbalzo semantico può anche essere sottilissimo. Ma potrebbe anche essere che il primo verso introduce un argomento, e sono i due versi successivi che introducendo un nuovo argomento lo mettono in relazione con l'argomento trattato nel primo verso (in opposizione o in armonia). Basho, uno dei massimi poeti di Haiku, dopo aver letto una composizione del discepolo Kikaku, gli disse: "Hai la debolezza di voler stupire. Cerchi versi splendidi per cose lontane; dovresti trovarli per cose che ti sono vicine". Nelle poesie di Basho l'intera natura è chiamata ad esprimersi: l'acqua, le rocce, i fiori, il sole, le nuvole e le stelle, gli animali, le piante, il mare e il vento e insieme a tutto ciò, il dolore e la gioia dell'uomo. Tutto è Kami, divinità, e al cospetto del divino il poeta si colloca, anima e corpo in un'unità inscindibile, nella condizione estatica della contemplazione. L'Haiku è nato in Giappone nel XVII secolo. Deriva dal Tanka, componimento poetico di trentun sillabe. Si scrivevano poesie Tanka già nel IV secolo. Il Tanka è formato da cinque versi con una quantità precisa di sillabe per ogni verso: il primo verso contiene cinque sillabe, il secondo sette sillabe, il terzo cinque sillabe, il quarto sette sillabe, il quinto sette sillabe. Eliminando gli ultimi due versi si è formato l'Haiku. La prima antologia di poesia giapponese intitolata "Manyoshu" risale all' VIII secolo; comprende 20 volumi con 4.500 poesie in diverso stile. In Giappone si calcola che più di dieci milioni di persone si diletta a scrivere Haiku. Ci sono attivissimi gruppi di poeti (chiamati Haijin) che si riuniscono per parlare di Haiku. Tutte le maggiori riviste e quotidiani giapponesi hanno una rubrica dedicata agli Haiku.
§ Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino è il titolo di un romanzo scritto da Collodi (pseudonimo dello scrittore Carlo Lorenzini) a Firenze nel 1881 e pubblicato nel 1883 dalla Libreria Editrice Felice Paggi con le illustrazioni di Enrico Mazzanti. Si tratta di un classico della cosiddetta letteratura per ragazzi. Il romanzo ha come protagonista un notissimo personaggio di finzione, appunto Pinocchio, che l'autore chiama impropriamente burattino, pur essendo morfologicamente più simile a una marionetta (corpo di legno, presenza di articolazioni) al centro di celeberrime avventure. §Il personaggio di Pinocchio - burattino umanizzato nella tendenza a nascondersi dietro facili menzogne e a cui cresce il naso in rapporto ad ogni bugia che dice - è stato fatto proprio con il tempo anche dal mondo del cinema e da quello dei fumetti. Sulla sua figura sono stati inoltre realizzati album musicali e allestimenti teatrali in forma di musical. §Nelle intenzioni di Collodi pare non vi fosse quella di creare un racconto per l'infanzia: nella prima versione, infatti, il burattino moriva, impiccato a causa dei suoi innumerevoli errori. Solo nelle versioni successive, pubblicate a puntate su un quotidiano (il Giornale per bambini diretto da Ferdinando Martini, a partire dal 7 luglio del 1881), la storia venne modificata con il classico finale che oggi si conosce, con il burattino che assume le fattezze di un ragazzo in carne ed ossa. §Il capolavoro di Collodi è una storia di grande carica umana: le straordinarie peripezie del ragazzo-burattino, le scoperte ora gioiose ora dolenti che egli fa del mondo e della vita, i suoi scatti di ribellione e i suoi pentimenti, la sua ansia di giustizia, le sue speranze e i suoi crucci, si compongono in un racconto nitido che è da tempo giudicato un vero classico, che oltrepassa i confini della mera letteratura per l'infanzia.
LETTERE di Galileo Galilei INDICE I A Belisario Vinta, 7 maggio 1610 II A Matteo Carosi, 24 maggio 1610 III A Giuliano de’ Medici, 13 novembre 1610 IV A Benedetto Castelli, 30 dicembre 1610 V A Cristoforo Clavio, 30 dicembre 1610 VI A Giuliano de’ Medici, I° gennaio 1611 VII A Paolo Sarpi, 12 febbraio 1611 VIII A Marco Velseri, tre lettere sulle macchie solari, a) 4 maggio 1612 b) 14 agosto 1612 c) I° dicembre 1612 IX A Maffeo Barberini, 2 giugno 1612 X A Paolo Gualdo, 16 giugno 1612 XI A Benedetto Castelli, 21 dicembre 1613 XII A Piero Dini, 16 febbraio 1615 XIII A Piero Dini, 23 marzo 1615 XIV A madama Cristina di Lorena, (1615) XV A Elia Diodati, 16 agosto 1631 XVI Ad Andrea Cioli, 6 ottobre 1632 XVII A Francesco Barberini, 13 ottobre 1632 XVIII A Cesare Marsili, 16 ottobre 1632 XIX Ad Andrea Cioli, 19 febbraio 1633 XX A Geri Bocchineri, 23 aprile 1633 XXI Ad Andrea Cioli, 23 luglio 1633 XXII A Elia Diodati, 7 marzo 1634 XXIII A Elia Diodati, 25 luglio 1634 XXIV A Fortunio Liceti, 15 settembre 1640 XXV Sopra il candore della luna APPENDICE Sentenza Abiura
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